lundi 24 novembre 2014

Chiamata per gli artisti / Progetto espositivo, una risposta contro l'inquinamento dell'arte


Una risposta alle collettive che pullulano ed inquinano il mercato dell'arte, associazioni e gruppi vari si dilettano in mostre senza senso, con questa iniziativa vogliamo fare la differenza. 
Ecco la chiamata alle armi per la mostra che curerò assieme ad Enrica Merlo di Studio Colore e Calore, (con il quale curai durante il Salone Off una piccola-grande mostra sul libro d'artista con pezzi notevoli provenienti dalla Russia).
Si tratta di una collettiva, quella di cui sto parlando, che si terrà a partire dal 20 febbraio 2015 presso lo Spazio Espositivo Colombo Art Design di Via Trofarello 13 a Torino. Vi presenteremo una selezione di artisti emergenti con uno o due artisti affermati come capifila. L'evento durerà 15 giorni e si ripeterà nel corso dell'anno con diversi artisti per lasciare il segno e dare più opportunità a chi vuole affermarsi. A breve il progetto completo e il nome che ho scelto, la dichiarazione d'intenti. 
Avete tempo fino al 15 dicembre per inviare le vostre opere, potete scrivete a: samplecolor@gmail.com Sono benvenuti anche artisti multimediali, fotografi e scultori. Le opere verranno scelte con estrema attenzione, nessun compromesso da parte mia davanti a lavori che posso servire per la raccolta differenziata, le amicizie non contano, perchè se un quadro o un testo mi suscitano ribrezzo non riesco a nasconderlo e a nascondermelo. Ma non voglio scoraggiare nessuno anche perchè siamo gentilissimi, vi consiglio di mandare un catalogo digitale o una gallery fotografica per lasciarci massima possibilità di valutazione e scelta eventuale fra i lavori disponibili. Trovate l'evento FB a questo indirizzo.

Max Ponte

dimanche 23 novembre 2014

Light Drops - Spazio Maurizio Colombo, Torino


Avete tempo fino a fine settimana per visitare la mostra "Light Drops" presso lo Spazio Maurizio Colombo, in via Sacchi 26/F, a Torino. A due passi dalla stazione di Porta Nuova. Ho avuto modo di partecipare all'inaugurazione dell'esposizione e parlare con tutti gli artisti presenti.
Shinya Sakurai è l'artista che conosco meglio e troverete in questo blog un testo a lui dedicato. Il suo lavoro unisce tradizione e contemporaneità in una sintesi davvero interessante, sia per la resa pittorica dai cromatismi pop sia per le implicazioni culturali o trans-culturali che si aprono nel confronto fra Europa e Giappone.
Ho parlato poi con Gianpaolo Truffa ("parlato" sì perché è bene parlar con gli artisti quando possibile). Truffa dipinge figure che si presentano come metamorfosi di nuvole, colori chiari, scenografia aerea. Mi ha ricordato certe atmosfere del secondo futurismo dove il dinamismo e la metafisica si incontrano. Una cifra, quella di Truffa, che lascia all'osservatore una sensazione di autenticità del sentire.  
Theo Gallino è uno dei protagonisti della Fiber Art che nel chierese ha trovato dimora. Ho scoperto che dalle telerie di Poirino (che furono care ai miei nonni) l'artista trae i suoi materiali. Il suo lavoro crea un gioco di trasparenze in cui la tela riproduce contemporaneamente i segni del pluriball (elemento a lui caro tanto che viene definito "il maestro del pluriball") e il motivo verde del tessuto mimetico. L'opera di Gallino non mi è parsa di facile ricezione.
Infine Vittorio Valente del quale avevo già visto la sedia riportata nel biglietto d'invito qui pubblicato. Il lavoro di Valente e quello di Sakurai possono essere messi in relazione. Grande lavoro seriale e materiali sintetici che li avvicinano a certa ricerca degli anni '60 (Sakurai usa una colla vinilica mista a colore, Valente silicone). Il lavoro di Valente, molteplice e organico, mi si svela grazie alle parole dell'artista che è un biologo e che quindi attraverso l'insieme delle particelle vede il mondo.

Max Ponte
Articolo pubblicato anche su "La Poesia e lo Spirito"

Contro la tradizione del contemporaneo



Un video dal noto film con Alberto Sordi dove due popolani decostruiscono l'arte contemporanea, in realtà una pellicola non solo divertente ma significativa nell'individuare significati e limiti dell'arte contemporanea. Una parodia di un mondo che ancor oggi si prende troppo sul serio e che non bisogna smettere di decostruire e smascherare. Ché se ai tempi del film, nel 1978, il linguaggio dell'arte contemporanea (dove si vedono esempi di arte concettuale e land art) poteva essere ancora una novità, ora il "contemporaneo", come genere istituzionalizzato, è la copia di se stesso, una stanchissima tradizione che continua. 

Max Ponte

Estetica e culto del disastro attraverso l'informazione


Il tg della Costa d'Avorio (RTI1) è stata una sorpresa, è diverso nonostante le reali calamità, punta all'educazione, all'igiene e alla formazione. Le agenzie di informazione che rimbalzano su Facebook e i tg italiani invece non fanno che accreditare una narrazione del disastro. Non è soltanto un racconto continuo (morti, crisi economiche e catastrofi naturali), che si morde la coda, ma è qualcosa di molto di più: è un'estetica del disastro, un'apologia psicopatologica, un gusto per l'annullamento e l'eliminazione del prossimo che viene alimentato dai mezzi di informazione. Il pubblico assiste al nuovo cinema popolare apocalittico e se ne compiace, non si purifica come in una catarsi aristotelica, ma sguazza e parlotta, cinguetta e sghignazza, spera infondo di poterci finire dentro con occhiali quadridimensionali, magari lasciarci un pezzo del corpo. Quest'estetica è culminata proprio con l'11 settembre e la celebre frase di Stockhausen che parlò dell'attacco alle due torri come dell'opera d'arte più grande mai realizzata è stata un flash nel buio della coscienza collettiva. Pochi hanno capito Stockhausen, voleva sottolineare un mutamento antropologico definitivo e invece è finito ben presto nel novero dei pazzi scatenati. Quale sarà il prossimo mostro di cui parlare? Il virus ebola? E chi lo porteranno, gli immigrati? E quanti saranno questi disperati che vengono a intaccare il nostro presunto benessere? 
Paul Virilio, studioso francese, ha analizzato con attenzione il fenomeno dei disastri e degli incidenti, vedendo in questi l'evoluzione di una cultura occidentale incentrata sulla velocità (egli parla infatti di “dromologia”). Virilio come Stockhausen ha intuito altresì l'estetica che alimenta la ricezione di questi eventi tanto da creare un progetto di museo, “The Museum of the Accidents”. Resta il fatto che la nostra informazione quotidiana continua ad assomigliare più ad un thriller che alla vecchia carta stampata. Come si potrà frenare e correggere questa macchina che tritura la realtà? E poi cosa si nasconde dietro questo spettacolo? Perché il pubblico gode intimamente delle disgrazie altrui e di panorami lunari di macerie, bambini a pezzi sbattuti su internet (e magari creati a colpi di Photoshop)? Questo culto del disastro, sì perché è diventato un culto, rivela una pulsione collettiva alla morte, una pulsione irrisolta. I nostri avi sono partiti per la guerra, hanno vissuto l'esaltazione guerriera, il combattimento, il sangue e la distruzione più nera. E se sono ritornati l'hanno fatto con il pudore di non dover desiderare e riaffrontare tutto questo. La società contemporanea invece alimenta i propri schermi di un mare di sangue in cui realtà e fantasia si mescolano indistintamente. Thanatos, viviamo una tanatologia inconsapevole e continua che forse trova le sue origini nell'impossibilità di vivere una guerra vera oppure di orientarne l'essenza al suo contrario. E cosa dire del susseguirsi dei necrologi che vengono postati su Facebook? Quasi ogni giorno la scomparsa di una star provoca un moltiplicarsi di foto di commiato per l'ennesimo vicino di casa virtuale, in una fibrillazione nichilistica dove la vita è un lusso che non va in rete e non si accende con la tv. 

Max Ponte
14 agosto 2014
Pubblicato su "La Poesia e lo Spirito"

Shinya Sakurai, la ri/costruzione solare




Shinya Sakurai, giovane artista giapponese in Italia (1981) nato ad Hiroshima e laureatosi all'Accademia di Osaka, si sta facendo spazio nella scena europea del contemporaneo. L'artista ci recapita un immediato messaggio di pace ed ottimismo che riguarda il passato del suo paese ed ora anche il futuro prossimo. E così il suo è un sol levante che ci leva e ci eleva dalle oscurità (“kuroi ame” si chiamava la pioggia nera atomica) della storia e degli incombenti disastri naturali. L'opera di Sakurai ha fatto subito pensare alla pop art, cosa che l'autore non disdegna ma neanche riconosce. Interessato al gruppo Gutai e all'arte povera in Italia, l'artista non rivendica legami o paternità e sviluppa una tecnica propria che unisce la antica tintura della tela “shibori” a colature cromatiche e soluzioni viniliche. Il colore risulta lucida estensione e sospensione in bolle trasparenti, in caramelle offerte alle papille dell'occhio. Ritrovare assonanze con la celebre Kusama può essere piacevole ma non determinante per la comprensione. L'applicazione di cuoricini che contraddistingue fortemente l'opera di Sakurai fino al 2010 è una impavida espressione d'amore universale che è simile, nel suo disarmante trasporto, agli emoticon che animano le chat o commentano una foto su Facebook. I quadri rispondono ad uno slancio vitale tutto personale ed identitario e ad un tratto etico che li rende insoliti e superiori alle usurate e usuraie derive nichilistiche contemporanee. Essere contemporanei per l'autore non è solo questione formale ma anche di interpretazione diretta dei mali del proprio tempo. L'arte di Sakurai affronta senza paura le onde anomale dell'esistenza per accendere un vitalismo che ci fa dimenticare gli scenari post-umani e gli eventuali compiacimenti estetici. “L'arte è per me qualcosa di potente” mi rivela l'artista in estrema sintesi nel corso di un viaggio in auto. Assistere ad una sua mostra significa entrare in quella solare ri/costruzione di cui l'arte dovrebbe essere veicolo.


Max Ponte
30 marzo 2011

Testo per pieghevole mostra presso Tinber Art Gallery (Pragelato / Torino)